TRE GIORNI DI FORMAZIONE A ROMA

3/5 novembre 2021

Dal 3 al 5 novembre abbiamo partecipato ad una formazione di tre giorni a Roma, all’interno del Resurface Festival. Il festival sottolinea l’esigenza di aprire spazi di riflessione su concetti come identità, diversità, modernità, canone, stereotipo e potere, legati agli immaginari del nostro passato coloniale, in chiave intersezionale.

La maggior parte degli eventi si sono tenuti al Goethe-Institut che ospita la mostra L’inarchiviabile, radici coloniali strade decoloniali, con la curatela di Viviana Gravano e Giulia Grechi. La mostra, in esposizione fino al 28 febbraio 2022, porta ad interrogarsi sul nostro passato coloniale, troppo spesso affrontato superficialmente nei programmi scolastici e rappresentato come “un capitolo della nostra storia” e non come un processo che crea e riproduce dinamiche di potere anche nel presente. Il nostro quotidiano è pervaso di eredità coloniali che non riconosciamo. Il museo e l’archivio giocano in questo contesto un ruolo essenziale come dispositivi di rappresentazione e dispositivi attraverso i quali la colonialità ha continuato a riprodurre se stessa. Come decostruire, allora, l’archivio e il museo? Come interrogarci sulle nostre narrazioni e sulle nostre rappresentazioni?

Il primo workshop ad aprire il festival è stato Che tu sia il mio corpo a cura di Marie Moïse, attivista e scrittrice italo-haitiana che si occupa di razzismo e colonialismo da una prospettiva femminista decoloniale.

Tessendo un filo narrativo tra le nostre esperienze e la storia coloniale, Marie ci ha guidato in un percorso di decostruzione, lavorando sugli stereotipi legati alla quotidianità e alle rappresentazioni del femminile prodotti dalla storia coloniale. Il sottotitolo delle slide di presentazione è, in questo senso, emblematico: Per una storia incarnata della colonialità del genere.

Ci siamo interrogate sul significato che hanno assunto prodotti come il pomodoro e il mais, introdotti in Europa successivamente all’arrivo degli europei nelle Americhe e che sono considerati ad oggi ingredienti essenziali per le ricette “tradizionali” italiane. Il tabacco e il tè, coltivati da corpi schiavizzati su terreni colonizzati, determinano lo status degli uomini e delle donne europee di un certo ceto sociale, arrivando a definire un’usanza culturale nazionale (come il tè delle cinque in Inghilterra).

Il colonialismo determina relazioni di potere e non è solamente un periodo storico, ma un atteggiamento di sfruttamento di terre, corpi e risorse che ancora oggi viene messo in atto. Il genere si inserisce all’interno del quadro coloniale come ulteriore determinante nella vita delle persone che sfruttano o sono sfruttate. In seguito alla colonizzazione e alla convivenza delle donne europee con le donne schiavizzate vengono determinati gli elementi che definiscono la femminilità: da una parte la femminilità “bianca”, pura e buona, dall’altra la femminilità “nera”, selvaggia e sessuale.

Wissal Houbabi ci ha guidato in una “non performance” incarnando il Sistema, che riproduce una condizione di impotenza e alienazione radicata in maniera strutturale e sistemica, portandoci a riflettere ed esperire il razzismo istituzionale.

Il workshop è stato estremamente faticoso, travolgente e formativo, creando emozioni contrastanti in noi. In conclusione, ci siamo disposte in cerchio, confrontandoci e condividendo le sensazioni e i pensieri che queste forti sollecitazioni hanno creato in noi. Nell’incontro con l’altro abbiamo portato il nostro posizionamento, esplorandolo insieme.

Questa non è una performance è dedicato a Youns Boussettaoui assassinato dall’assessore Massimo Adriatici.

In conclusione alla prima giornata del festival è stato presentato il Podcast “Riguardo (al)le parole – Concerning Words” a cura di Viviana Gravano e Giulia Grechi, parte del progetto Transcultural Attentiveness promosso dal Goethe-Institut di Roma.

La seconda giornata si è aperta con l’incredibile talk/performance Colonised Bodies / Performativities of Liberation di Nora Amin.

Analizzando le nozioni di modernità, contemporaneità, qualità artistica, normatività e bellezza, Nora li attribuisce ad una visione eurocentrica del mondo, rivisitando la danza e la performance come pratiche di resistenza. Il corpo, oggetto di repressione e controllo, diventa soggetto del cambiamento e della trasformazione.

Ogni corpo è diverso. E ogni corpo che danza, realizza una danza diversa. “La danza non si può replicare, si può solo trasformare. La danza è una trasformazione lei stessa”.

A seguire, è stato presentato il progetto Il mio filippino di Liryc Dela Cruz con una preview del film. Il lavoro di Dela Cruz è legato alle sue origini nel Mindanao, isola dell’arcipelago filippino. Documentando i lavori di cura svolti da collaboratori domestici di origine filippina in Italia, l’autore denuncia l’invisibilità di queste persone, analizza il rapporto (di potere) tra proprietario di casa e lavoratore e il complesso legame che si crea con la famiglia del datore di lavoro: dichiarando al collaboratore domestico che “fa parte della famiglia”, la subordinazione del lavoratore viene cristallizzata nel legame d’amore che rivolge alla famiglia per cui lavora.

Dopo la proiezione, Liryc Dela Cruz si è confrontato con Marie Moïse sul tema del lavoro di cura, riportando la storia coloniale delle Filippine, che sono sempre state un punto strategico per le politiche internazionali grazie alla loro posizione. “Nel corso del lungo periodo della colonizzazione spagnola, della tratta degli schiavi attraverso il Pacifico, dell’occupazione americana e giapponese, della dittatura, la cura trova una nuova definizione, così come il corpo, e i suoi gesti e movimenti”.

La rassegna di Resurface si è conclusa la domenica con il Trekking UrbAfricano a cura del Collettivo Tezeta, all’interno del quartiere “africano” di Roma. Seguendo l’odonomastica in un percorso per le strade del quartiere, il collettivo ci ha guidato nella storia coloniale italiana relativa all’Eritrea. È stata un’esperienza profonda, formativa e fondamentale per non dimenticare ed approfondire il colonialismo italiano, troppo spesso fatto passare come un periodo breve e senza conseguenze socio-politiche e culturali.

Per i video dei tre giorni di formazione vai a:

primo giorno

secondo giorno

terzo giorno

Un grazie speciale a Viviana Gravano, Giulia Grechi e Salvo Lombardo che ci hanno accolto e accompagnato in questo percorso e a tutte le persone che con noi hanno condiviso queste tre giornate romane.

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